Non tutti sanno che dopo un referendum, oltre tremila cittadini, hanno deciso che alla denominazione di Capaccio si dovesse aggiungere anche Paestum. Seguiteci nella scoperta tra l’antica Poseidonia e Caput Aquae.

Originariamente Calpatium, il nome deriva dal latino Caput Aquae. Per trovare per la prima volta il termine Capaccio, occorre risalire a un documento del 1051. Ci troviamo sul versante settentrionale del Monte Calpazio, dove sono oggi i resti di Capaccio Vecchio. Con la sua storia millenaria l’area patrimonio Unesco offre al visitatore la possibilità di tornare indietro nel tempo, fino alla scoperta dei resti dell’antica città greca in cui si ergono gli imponenti templi costruiti tra il VI e il V secolo avanti Cristo. Opere maestose considerate, assieme a quelli di Atene ed Agrigento, tra i meglio conservati al mondo. Il luogo era abitato quando le truppe di Federico II rade al suolo gli insediamenti, in quanto appartenente ai Sanseverino, una delle famiglie che aveva preso parte alla Congiura dei Baroni. Capaccio, già feudo dei Berengario e dei Sanseverino, appartenne poi ai d’Avalos d’Aragona, ai Grimaldi e ai Doria. Finalmente capoluogo durante il Regno delle Due Sicilie, dal 1811 al 1860.

Cosa vedere a Capaccio - Paestum?

Inserita in paesaggi mozzafiato e unici al mondo, la città attira ogni anno migliaia di visitatori lasciati a bocca aperta dalla magnificenza delle rovine soprattutto, così come dalla possibilità di passeggiare nel perimetro di quello che era il suo centro abitato alla scoperta dell’agorà greca, del foro romano, della basilica. Senza sfuggire, allo stupore del visitatore incantato, i diversi reperti rinvenuti durante gli scavi all’interno del museo archeologico.

Le tappe da non perdere a Capaccio – Paestum

È qui, dove era l’antico centro della città, che si trovavano i monumenti più importanti e non c’è che l’imbarazzo della scelta tra il farsi una foto davanti ai celebri templi, piuttosto che nei pressi dell’agorà. Il luogo in cui troviamo è lo stesso nel quale sorgeva l’anfiteatro romano che purtroppo è stato tagliato a metà dalla statale 18, poiché nelle intenzioni, si sarebbe permesso a chi viaggiava di vedere da vicino le rovine. Si stima che la città si estendesse ben oltre il perimetro dell’attuale area archeologica grazie alla presenza di strade, terme, fontane e altri luoghi di riunioni sia per i greci che per i romani.

L’Area archeologica di Velia

L’Area archeologica di Velia, dove nacquero le scuole di filosofia di Parmenide e Zenone, viene fatta risalire al 540 avanti Cristo. La sua costruzione è attribuita agli abitanti di Focea che, scappando dai Persiani dall’attuale Turchia, attraversarono il Mediterraneo. Furono i romani a rinominare Velia la zona, in cui sono visibili l’acropoli circondata da una cerchia di mura all’interno delle quali, probabilmente, si trovavano alcuni quartieri. Bellissima, spicca su tutto, e la magnifica Porta rossa. L’esempio più antico di arco a tutto sesto esistente in Italia.

Il Tempio e il Museo di Hera

Il Tempio di Hera è noto anche come Basilica di Paestum. È esso il più antico dei tre grandi edifici dell’area archeologica. La sua origine è datata attorno al 560 avanti Cristo e il suo valore è anche nel fatto che sia l’unico tempio di questo periodo ad essere giunto fino ai giorni nostri in perfetto stato di conservazione. L’impianto, che ricorda le costruzioni in legno dello stesso periodo, presenta una sala interna divisa da colonne centrali, senza frontoni.

Secondo gli studiosi si tratta un edificio dedicato al culto di Hera, protettrice degli Achei e sposa di Zeus. Infatti, la leggenda vuole che il santuario di Hera, che si trovava alla foce del Sele, tragga le origini dal viaggio di Giasone e degli argonauti alla conquista del vello d’oro. L’equipaggio, di ritorno dalla lontana Colchide sul Mar Nero, fu costretto a percorrere i fiumi Danubio, Po e Rodano fino a fermarsi alla foce del Sele per dedicare un santuario alla dea Hera che aveva protetto il lungo viaggio.

La scoperta del santuario risale agli anni Trenta. Solo allora furono riportate alla luce le parti che sono conservate nel Museo archeologico di Paestum con altri reperti. Mentre lungo il Sele si incontra un museo narrante, ospitato in una antica masseria restaurata, al cui interno si trovano pannelli, video, installazioni e ricostruzioni in 3D che raccontano la storia della scoperta e alcune delle vicende del tempio.

I due templi, dedicati a Nettuno e a Atena

Il tempio di Nettuno è il più grande ed anche quello meglio conservato. Nell’edificio, imponente e austero, ritroviamo tutti canoni dell’architettura templare greca. L’origine viene fatta risalire alla metà del V secolo avanti Cristo. La costruzione è stata fatta utilizzando grandi massi uniti con tasselli, senza usare malta. Difatti, durante il medioevo e probabilmente anche in epoca moderna, essi furono in parte saccheggiati e riutilizzati dagli abitanti del luogo per tirare su altre costruzioni.

Il tempio di Atena sorgeva su una piccola altura al di fuori del centro abitato, in posizione dominante della città di un tempo e, oggi, dell’area archeologica di Paestum. Sull’attribuzione non vi sono pareri contrastanti tra gli studiosi: si tratta di un luogo dedicato a Atena, protettrice delle arti femminili, guerriera saggia e forte con le qualità intellettuali sia dell'uomo che della donna. Il grande tempio che è arrivato fino a noi perfettamente conservato risale al 500 avanti Cristo, con una parte interna più elevata rispetto al colonnato circostante alla quale si aveva accesso attraverso un’anticamera decorata riccamente.

Dal Museo Archeologico al “Cavallo” di Mimmo Paladino

Il primo progetto di costruzione del Museo archeologico risale agli anni Trenta del secolo scorso e si concludeva solo nel 1952, per trovare una casa alle metope, i pannelli figurativi ritrovati nel santuario di Hera alla foce del Sele. Le metope si possono ammirare nella loro collocazione rialzata nella prospettiva originaria. Nel museo sono conservati, oltre alla rinomata Tomba del Tuffatore scoperta nel 1968, anche oggetti rinvenuti durante gli scavi all’Heraion del Sele.

Il Cavallo di sabbia di Mimmo Paladino, ispirato alla mitologia, si trova tra il tempio di Hera e quello di Nettuno. La scultura, alta circa quattro metri, è stata posizionata nel 2019. Si tratta di un innesto contemporaneo, frutto di un accordo tra parco Archeologico di Paestum e Museo dei materiali minimi d’arte contemporanea, che raffigura Pegaso, il cavallo alato partorito da Medusa. Per realizzare l’opera d’arte è stata usata sabbia proveniente dalle spiagge di Paestum. 

A spasso nel territorio

Capaccio - Paestum, domina la pianura del Sele e il Golfo di Salerno, dal Promontorio di Agropoli alla Costiera Amalfitana. È situata su un altopiano tra i monti Sottano e Soprano, bagnata dai fiumi Sele e Solofrone. Conta oltre 22 mila abitanti su un territorio esteso per un centinaio di chilometri quadrati e confina con centri di rara bellezza e di interesse storico tali da invogliare un giro lungo alla scoperta delle loro caratteristiche.

Tra questi, Agropoli, Albanella, Cicerale, Eboli, Giungano, Roccadaspide e Trentinara. Così come le 12 frazioni: Cafasso/Borgonuovo, Capaccio Scalo, Capo di Fiume, Gromola/Foce Sele, Laura, Paestum, Ponte Barizzo, Rettifilo/Vannulo, Santa Venere, Seude Spinazzo/Varco Cilentano, Torre/Licinella, Vuccolo Maiorano.

Poco distante dall’area archeologica, nella frazione di Borgo Cafasso sorge il complesso immobiliare dell’Ex Tabacchificio, restaurato e convertito a polo fieristico espositivo. L’edificio, dall’importante valore storico-culturale, è stato messo a disposizione della comunità della Piana del Sele. Da qui, dopo una visita che consigliamo, la scelta: raggiungere i 14 chilometri di costa o raggiungere il gruppo montuoso rientrante nel parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano?

Una puntata ad Agropoli, tra mare e monti

Importante centro costiero situato alle porte occidentali del Parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, Agropoli accontenta tutti. Dagli amanti dei tuffi a chi cerca ristoro nei boschi della collina o, magari, opta per un sano trekking sugli antichi percorsi. Oltre che dal mare Tirreno, il territorio è delimitato dal primo gruppo collinare cilentano che lo separa dai comuni di Ogliastro Cilento, Prignano Cilento, Torchiara e Laureana Cilento. Il monte Tresino è il confine naturale con il comune di Castellabate. Ecco un breve elenco di posti da non perdere a Agropoli: il Borgo Medievale, il Castello Aragonese, la Baia di Trentova e gli Scaloni, la Spiaggia di San Francesco.

Eboli, amata dagli uomini e da Dio

Eboli, che conta quasi 40 mila abitanti, se ne sta arrampicata alle pendici della collina di Montedoro, in parte nel Parco Regionale dei Monti Picentini. I suoi borghi e gli splendidi scorci mozzafiato, rimasti intatti nel tempo riportano al libro di Carlo Levi, “Cristo si è fermato a Eboli”, che l’ha resa nota a tutta l’Italia. Levi, scrittore antifascista torinese, confinato in Basilicata, riprese un’espressione tipica della gente lucana: “Noi non siamo cristiani, perché Cristo si è fermato ad Eboli”.

Cosa vedere o, meglio, cosa non perdere in una visita a Eboli? Sicuramente, le aree archeologiche. Con la Villa Romana di epoca imperiale in località Paterno, l’acquedotto medievale sul Montedoro, i tratti di cinta muraria del IV secolo a.C. e le Fornaci romane, dove si trovava l’antico municipium romano di Eburum. Il complesso è costituito da tre fornaci di diverse dimensioni, datate fra il II e il IV secolo a.C.

Edificato nel XV secolo e modificato nel Settecento da Leonardo Vanvitelli, c’è un altro monumento che va assolutamente visitato: il Castello dei Colonna. Così come la Basilica di San Pietro alli Marmi, normanno nel campanile e nelle due absidi, e oggi sede di un convento di cappuccini. Non mancate all’appuntamento con la chiesa di San Francesco, in stile gotico. Un altro capolavoro.

Vi è venuta fame, durante il giro? Nessuna paura, perché le specialità gastronomiche comprendono vari piatti che conciliano le traduzioni della cucina campana e quelle della cucina lucana. Sicuramente vi verranno proposte le lagane, fatte di pasta fresca senza uova, con i ceci, oppure lagane e fagioli. Buonissime da leccarsi i baffi sono le frittelle di fiori di zucca, chiamate qui “pizzelle di sciurilli”, e il baccalà con cipolla e pappacella. Mica volete dire di no alle “mammellone”? Le enormi mozzarelle con protuberanze, fatte di latte di bufala. Oppure ai ravioli con il ripieno di ciauliello? Il ciauliello è un misto di pomodori, melanzane e zucca lunga seccati al sole.

Il Cece di Cicerale

Il Cece di Cicerale, sembra proprio uno scioglilingua ma il nome ha origine da questo legume, è originario dell’Asia occidentale. In occidente è arrivato migliaia di anni fa ed ha trovato qui un territorio di elezione per crescere. Si presenta come una pianta dalle piccole dimensioni e per coltivarlo si seguono i criteri dell’agricoltura biologica, non si usano prodotti chimici e non si fa irrigazione.

Cicerale è, dunque, “terra quae cicera alit”: terra che nutre i ceci. La scritta compare nello stemma del paese che raffigura anche una pianta di ceci intrecciata con una graminacea. La terra di Cicerale offre una varietà locale di piccoli ceci rotondi, dal colore leggermente più dorato rispetto a quelli comuni. Il sapore è più intenso è, per il basso contenuto di umidità alla raccolta si conserva a lungo. Se vi incuriosisce il metodo della raccolta. Allora, venite a Cicerale a luglio. Lo spettacolo è assicurato.

Area Marina Protetta Santa Maria di Castellabate, la bellezza che lascia senza fiato

Tutto è incanto, qui. L’isola del mito, Licosa, in superficie. I resti dell’omonima città greco-romana, sommersi. Il faro e il rudere della casa del guardiano, accanto ai reperti di epoca greco-romana. La Villa Romana e la vasca per l’allevamento delle murene risalente al I secolo a.C., sotto il livello del mare. È probabile che il nome Licosa derivi dalla sirena Leucosia, che, per Licofrone, Strabone e Plinio il Vecchio, abitò e fu sepolta in questi luoghi. Omero, nell’Odissea, accenna all’isola delle sirene dal canto ammaliatore, che Ulisse e il suo equipaggio riuscirono a neutralizzare. Anche Aristotele racconta di un tempio dedicato a Leucotea sull’isola. 

Nelle acque trasparenti del mare vive una lucertola endemica dalla livrea verde e azzurra, il cui nome è Podarcis sicula klemmeri. Spesso si appoggia alla rarissima roccia dell’isola, il Gabbiano corso (Larus audouinii) dell’area del Mediterraneo. Si chiama “Flysch del Cilento”, la tipologia di roccia composta da diverse stratificazioni che assumono tonalità particolari e caratteristiche. L’origine è fatta risalire all’epoca preistorica quando, i detriti provenienti dall’erosione delle montagne in formazione, sono finiti in mare. Nella conformazione rocciosa sedimentaria dei fondali trovano rifugio numerose specie di fauna e flora marina, come Posidonie Oceaniche, alcionacei, cernie, saraghi, murene e aragoste. 

Tipica del luogo è una triglia di scoglio, la “rossa di Licosa”, come la chiamano i pescatori locali. Sulla terraferma prevalgono l’ulivo e il fico, gli alberi simbolo del Cilento. La zona costiera di Licosa ed Ogliastro Marina, ricade nel territorio di Castellabate.

La Dieta Mediterranea e il tempo libero

Da queste parti è la Dieta Mediterranea a dettare legge, grazie a un “chilometro Zero” che non ha eguali. L’intenso sistema produttivo agricolo alimenta il mercato che offre esclusivamente prodotti sani e genuini provenienti dai propri orti, vigneti, oliveti e allevamenti. La cucina locale è un’esperienza emozionale alla scoperta dei segreti e della tradizione della Cucina cilentana. Tra le eccellenze del territorio ci sono la mozzarella di bufala campana DOP e il carciofo di Paestum IGP. Inoltre, i Comuni rurali sostenibili hanno ricevuto la Certificazione Spighe Verdi.

Per il tempo libero non c’è che l’imbarazzo della scelta: dalle passeggiate a cavallo alle escursioni in montagna, dai voli in deltaplano o col parapendio al paracadutismo. Grazie alla trasparenza delle acque, il mare ha conquistato da tempo la Bandiera Blu e l’oasi dunale di Legambiente è un ambiente protetto dove cresce il giglio bianco di mare, esemplare di flora protetta. Le peculiari identità territoriali, le diversità paesaggistiche e le eccellenze fanno dei borghi presenti sul territorio un’attrattiva unica per tradizioni locali e folkloristiche, testimonianze archeologiche e architettoniche.

Come arrivare a Capaccio - Paestum?

In treno. Sono numerosi i treni locali che si fermano a Capaccio - Paestum. Da Salerno, ci sono 14 treni al giorno che impiegano tra i 30 e i 40 minuti per giungere in stazione. Da Napoli, sono 12 le corse giornaliere e tra i 70 e i 100 minuti i tempi di percorrenza. La biglietteria alla stazione di Capaccio Scalo / Roccadaspide - Paestum è chiusa a tempo indeterminato, ma è possibile ottenere un biglietto pagando direttamente il conduttore sul treno senza alcuna penalità.

In auto. Bisogna percorrere l'autostrada A3, prendere l'uscita Battipaglia se si arriva da Nord o l'uscita di Eboli, se si arriva da Sud. Quindi, in entrambi i casi, seguire la Statale 18 fino all'uscita Paestum. Da Salerno è anche possibile prendere la Strada provinciale SP175, lungo la costa, per un viaggio che dura circa un'ora.

In autobus. La zona è servita dai mezzi CSTP, che lasciano Salerno da Piazza della Concordia in prossimità del fiume, a pochi isolati dalla stazione ferroviaria e dalla fermata degli autobus SITA. Partenze su questa linea: ogni ora dalle 06:30-12:30, poi alle 13:50, 02:50, 03:30, 04:35, 05:45 e 19:30. Gli autobus fermano di fronte al sito archeologico. Da Napoli ci sono quattro autobus al giorno (7:30, 8:10, 01:30, 21:10).

Via mare. Durante i mesi estivi ci sono traghetti che arrivano a Salerno, Napoli, Positano, Amalfi.

In aereo. Dall'aeroporto di Napoli Capodichino: "Alibus" da Capodichino alla stazione ferroviaria di Napoli (Piazza Garibaldi). Prendere, poi, il treno locale o il treno per Sapri, Paola, Cosenza, in direzione Reggio Calabria. Prevista la fermata a Capaccio / Roccadaspide o Paestum.

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