Il Cilento è stato, nei secoli, terra di incontro e di passaggio, crocevia di popoli e civiltà, frontiera di regni, spesso contesa, e dunque teatro di lotte feroci e aspre battaglie sul campo, fra i suoi monti, nei suoi piani, nelle sue valli. A testimonianza di questo passato l'area conserva ancora oggi un cospicuo patrimonio di fortificazioni, fortezze e castelli che ne punteggiano in ogni parte il territorio e costituiscono un suggestivo itinerario per i turisti più curioso e gli appassionati di storia. Nel sud del Cilento, affacciata sul golfo omonimo, si trova Policastro, il cui nome, un misto di greco e latino che significa “più castelli”, racconta la parabola di tutte le fortificazioni cilentane. Costruite nell'Alto Medioevo, per lo più in epoca longobarda (anche se non mancano fortezze più antiche), furono riadattate e restaurate dai successivi conquistatori - Normanni, Angioini, Aragonesi, Spagnoli - restando “in servizio” fino alle soglie dell'età contemporanea come private dimore di famiglie nobili per poi diventare luoghi di interesse storico o essere purtroppo abbandonati. 

Il centro storico di Policastro, frazione del comune di Santa Marina, è circondato da mura merlate medioevali, perfettamente conservate in alcuni tratti, alla base delle quali si riconoscono grossi blocchi di pietra di epoca greca e romana, che attestano le antichissime origini del borgo. Sul colle che sormonta il paese svetta il rudere di un castello medioevale, ridotto al mastio e a pochi altri elementi ma visibile a chilometri di distanza. Più a sud, in cima al borgo di Torraca, vedetta sul Golfo di Policastro quasi al confine tra Campania e Basilicata, sorge il castello dei baroni Palamolla, signori del paese dalla fine del Cinquecento all'eversione della feudalità. Imperioso, ben conservato e di recente restaurato, ideale per comprendere struttura e funzioni delle dimore gentilizie, il castello è sede, specie in estate, di numerosi appuntamenti culturali. 


Tornando verso nord, oltre capo Infreschi, a monte di uno dei tratti costieri più belli del Cilento, Camerota conserva i resti della cortina muraria e una splendida torre merlata del castello marchesale, costruito probabilmente prima dell'anno Mille, già covo dei Saraceni, poi nelle mani dei Normanni, degli Svevi e di una sfilza di signori feudali: i Sanseverino, i De Leyna, i Pignatelli, i Di Sangro e i Marchese. Qui l'umanista Bernardino Rota si ispirò per una delle sue celebri "Metamorfosi", che attribuiva a Camerota un'origine mitica: costruita sulle spoglie di una ninfa che ammaliò Palinuro e lo lasciò tra i flutti meritandosi la punizione della dea Afrodite che la tramutò in roccia. Procedendo ancora verso nord, subito a ridosso della costa cilentana, si trovano il palazzo Pappacoda a Pisciotta, fastoso nella facciata settecentesca col portale di arenaria, che domina la rocca cittadina e ingloba i resti dell'antica fortezza, e il castello di Pollica, con lo splendido torrione a pianta quadrata. È piuttosto comune il riadattamento di antiche fortezze a dimore gentilizie. Nel Cilento interno se ne trovano altri due esempi: a Castel San Lorenzo col palazzo Carafa e a Stella Cilento col palazzo Vassallo. 

Ma le suggestioni forse più potenti vengono ancora dalla fascia costiera. A Castellabate, in cima al suggestivo colle dell'Angelo, si trova il castello voluto nel 1123 da Costabile Gentilcore, quarto abate di Cava de' Tirreni poi proclamato santo (l'unico cilentano). Ancora oggi integra entro la robusta cinta muraria, la fortezza costituisce un fomidabile punto di osservazione sul mar Tirreno. Non stupisce che Ruggero Leoncavallo, tra i più grandi compositori italiani, abbia colto proprio qui la giusta ispirazione per la sua celebre “Mattinata”. L'itinerario tra le fortezze a guardia della costa cilentana si conclude con quella forse più suggestiva, la rocca di Agropoli, affacciata sul mare dalla sommità del promontorio che ospita la parte più antica del borgo. Già “ribat” nel IX secolo, covo dei pirati saraceni e base di partenza per incursioni lungo tutta la costa tirrenica, la cittadella di Agropoli fu riconquistata dai cristiani nel 915 e fortificata da tutti i successivi dominatori. Il castello, di probabile origine bizantina, fu ristrutturato dagli Aragonesi nel 1400 e abitato da varie dinastie di feudatari, dai Sanseverino ai Sanfelice, che per ultimi lo tennero. Nel 1630 fu il fulcro della resistenza a un famigerato e sanguinoso assalto dei pirati turchi, che costò alla cittadina più di duecento morti. Oggi, ben conservato, è museo e sede di mostre, conferenze e incontri letterari. 

Tipiche dell'architettura angioina, caratteristicamente circolari, sono la torre merlata che domina il parco archeologico di Elea-Velia, nel comune di Ascea, e che difendeva nel medioevo l'abitato di Castellammare della Bruca e la torre che spicca sulla fortezza di Castelnuovo Cilento, costruita dai Normanni e ristrutturata nel XIII secolo da Guido d'Alemagna, cavaliere francese al seguito di Carlo d'Angiò: uno scorcio di medioevo ancora perfettamente conservato nel cuore dell'Italia meridionale. Rovine di castelli longobardi sono sparse in tutto il Cilento interno: a Laurino, a Corleto Monforte, a Sacco vecchia, dove intorno al 600 il duca di Benevento Zottone imprigionò la moglie fedifraga Saccia. Normanno, dell'undicesimo secolo, è il castello di Oliveto Citra, mentre quello dello splendido "paese fantasma" di San Severino di Centola, visibile anche dalla tratta ferroviaria, risale al secolo successivo. 

Decisamente più antichi sono i resti della fortezza di Roccagloriosa, eretta nel VI secolo dai Bulgari al seguito del generale bizantino Narsete. Poco più a sud si trova la fortezza di Castelruggero risalente al 1110 e probabilmente voluta da Ruggero d’Altavilla, conte di Sicilia e fratello di Ruggero il Guiscardo. Doveva difendere l’antica carovaniera che dal mare del Golfo di Policastro risaliva verso il Vallo di Diano lungo il corso del Bussento e fu immortalata in una tela del grande pittore francese Camille Corot intitolata "Castel Rogero en 1843". Un aneddoto altrettanto curioso riguarda il castello di Aquara, sulla valle del Calore, che all'inizio del Cinquecento appartenne ad Ettore Fieramosca, l'eroe della "disfida di Barletta". Del capitano conserva lo stemma, un'aquila in stucco, in una delle belle sale interne. Fortezza longobarda, inizialmente, divenne nel Cinquecento dimora gentilizia impreziosita da un portico con volte affrescate che cinge un bel cortile con una fontana a ventaglio. Tutta l'area degli Alburni è disseminata di fortificazioni, tra cui spiccano la fortezza normanna di Postiglione, impreziosita da due torri barocche ai lati della facciata, e il castello di Sicignano degli Alburni, che sembra quasi sorgere dalla roccia, scolpito nella cima stessa di una rupe del monte Tirone. Di pianta irregolare, protetto da torri quadrangolari, è intatto nella cinta ma conserva poco dell'interno: quel tanto che basta per raccontare secoli di guardia alle "narici lucane", un passaggio tra gli Alburni e il massiccio del Sant'Angelo, strategico per la comunicazione fra la costa tirrenica e quella adriatica. 

Negli anni più tumultuosi e oscuri del medioevo Novi Velia e Rocca Cilento si sono avvicendate nel ruolo di fulcro del sistema difensivo cilentano. Il "castrum" di Novi Velia, nacque nell'alto medioevo come rifugio per gli ultimi discendenti della popolazione di Elea-Velia, nel 1075 fu scelto da Roberto il Guiscardo come sede della baronia del Cilento e nel 1300 fu maestosamente ristrutturato dai Marzano. In seguito patì i rovesci che sconvolsero la famiglia e tornò ad avere rinomanza soltanto nel Cinquecento, per un breve periodo, nelle mani del duca Ettore Pignatelli, "grande ammiraglio" di Sicilia. Oggi, trasformato per lo più in struttura per civili abitazioni, ne sopravvivono una bella torre merlata, un portale e poche mura. Rocca Cilento, sul versante settentrionale del monte Stella, ebbe il suo castello, solitaria fortezza a guardia della valle dell'Alento, quando, nel XII secolo, il barone Guglielmo Sanseverino elesse il luogo a "capitale" della baronia del Cilento. Più volte ristrutturato, il castello si dimostrò bastione inespugnabile durante la Guerra del Vespro (1282-1302), ma il suo territorio fu completamente devastato, al punto da ottenere da re Carlo II d'Angiò la completa esenzione dal pagamento delle tasse. La pianta pentagonale e il fine tratto architettonico della stupefacente fortezza hanno fatto pensare a un grande progettista: il celebre Giuliano da Sangallo, Giuliano da Maiano o Antonio Marchesi da Settignano, cui è attribuito fra gli altri il disegno della cittadella del Maschio Angioino di Napoli. Oggi, rilevato da privati, è un'imponente, elegante struttura ricettiva specializzata in ricevimenti e cerimonie. 

Il viaggio tra i castelli del Cilento finisce nel nome del filosofo napoletano Giambattista Vico, che nel Cilento profondo, a Vatolla, oggi frazione del comune di Perdifumo, prestò servizio come precettore. Fu ospite del palazzo marchesale, costruito sul sito di un'antica fortezza longobarda, appartenuto nel Seicento a Domenico Rocca (per la cui figlia ventiduenne Vico consumò vanamente "tutti i suoi sospiri") e poi alla famiglia De Vergas, di cui ancora porta il nome.
A Roccadaspide Vico è legato per l'amicizia col signore del borgo Giovambattista Filomarino, che fu tra i suoi discepoli prediletti. In occasione delle nozze di questi con Maria Caracciolo, nel 1721, compose "Giunone in danza", forse la sua opera poetica più importante. I Filomarino furono per secoli, dalla metà del Cinquecento alla fine della feudalità, nel 1806, proprietari della Rocca de Aspro o Rocca dell'Aspide (lo scudo degli antichi Greci), costruita in epoca longobarda e progressivamente sviluppatasi fino a costituire un autentico maniero delle favole. Cinque torri cilindriche e due quadrangolari cingono un complesso di trentatré stanze, ornato da pregevoli opere d'arte, arricchito da suggestivi giardini e da vasti sotterranei che ospitano depositi e tetre prigioni. Può essere a buon diritto considerato il principe dei castelli cilentani.

(di Leonardo Guzzo)

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