I templi di Paestum sono fra i monumenti più suggestivi del Cilento. Qui, tra le colonne che resistono al passare dei millenni, il vento narra storie di divinità antiche. Chiudi gli occhi… si parte.
Paestum, Patrimonio dell’Umanità Unesco, è una delle mete che non puoi proprio perderti in quest’area del Sud Italia così ricca di meraviglie chiamata Cilento. La pelle d’oca ti accompagnerà durante tutta la visita perché i templi di Nettuno, Hera e Atena e i vari piccoli tesori della città intorno non sono uno spettacolo che lascia indifferenti. Tutt’altro. Sì, è vero, sono tra i più importanti reperti archeologici dell’antica Magna Grecia ma sono, prima di ogni altra cosa, testimoni silenziosi di un’infinità di storie da raccontare. Tante, ma tante davvero.
E qui, fra le tinte oro delle colonne baciate dal sole e il verde acceso dei prati, ti accompagneremo per mano a scoprire un mondo passato, eppure tanto potente e avvolgente.
Sei pronto a venire con noi?
600 a.C. circa, piana del Sele, Magna Grecia. Qui, dalla fatica dell’uomo che modellava la pietra per compiacere gli dei, sorse l’antica Poseidonia in onore di Poseidone, dio del mare. E, proprio in questo tempo antico, furono edificati i tre templi simbolo della città: il Tempio di Hera (o Basilica), il Tempio di Nettuno e il Tempio di Athena (o Cerere). Quella stessa polis, più tardi, fu occupata dai Lucani che ne mutarono il nome in Paistom e, nel 273, divenne colonia romana con il nome di Paestum. Essa diventò così potente da guadagnarsi l’autorità di coniare una propria moneta; il suo aspetto originale di polis greca fu trasformato con nuove opere pubbliche, le antiche mura greche vennero modificate e l’edilizia privata la fece crescere ancora e ancora.
Lo splendore della città era ormai a livelli altissimi, ma un periodo buio la aspettava da lì a poco.
La graduale trasformazione in palude dell’area a sud-ovest, dove scorreva il fiume Salso, era inesorabile. Le sue acque piene di calcare pietrificavano qualsiasi cosa e i tentativi degli abitanti di innalzare strutture e realizzare canali risultarono inutili. Il porto si insabbiò e la città si ridusse al nucleo che sorgeva nel suo punto più alto: intorno al tempio di Cerere. Infine fu abbandonata nell’VIII - IX secolo d.C. quando fu costruito un nuovo insediamento, sulle alture, al riparo dalle incursioni Saracene: Capaccio.
Quella che era stata una delle più grandi città della Magna Grecia fu lasciata a sé stessa, depredata e spogliata di marmi e ricchezze. Il velo scuro dell’oblio calò sulla sua memoria per secoli e del suo splendore rimase solo un vago ricordo. Finché, improvvisamente, qualcosa cambiò…
In epoca rinascimentale poeti e scrittori sussurravano versi di Virgilio e Ovidio che si riferivano a una città scomparsa la cui esatta ubicazione, però, era sconosciuta. Nel 1762, poi, Carlo di Borbone Re di Napoli ordinò la realizzazione di una strada. Questo fatto non sembra nulla di rilevante ma, grazie ai lavori di costruzione, vennero alla luce le rovine di un piccolo mondo sommerso: l’antica Paestum. Da lì a poco l’interesse verso la scoperta crebbe. Ci fu chi dipinse alcuni dei suoi scorci e chi, come Goethe, la rese una tappa del Grand Tour, il celebre viaggio nato per conoscere la cultura e l’arte dell’Europa continentale che, a partire dal XVIII secolo, tanto appassionava i nobili aristocratici europei.
Per l’avvio dei primi scavi nell’area della Basilica e della Via Sacra, però, bisognerà aspettare il 1907. Solo dopo la II Guerra Mondiale, il desiderio di riportare Poseidonia alla luce e di scoprire tutto ciò che era ancora nascosto fu visto come un impegno non rimandabile. Oggi la Statale 18 attraversa il sito archeologico e taglia a metà l’anfiteatro (che al momento della costruzione della strada non era ancora venuto alla luce). Eppure, forse, senza quel desiderio del re Borbone, Paestum sarebbe ancora un sussurro dimenticato nel tempo.
Ora il Parco Archeologico di Paestum e Velia tutela questo patrimonio e, nei pressi della città antica, ha creato un Museo per custodire alcuni reperti di inestimabile valore provenienti dagli scavi. Uno dei simboli della città è “il Tuffatore”, un uomo che si getta in acqua a raffigurare il passaggio dalla vita alla morte. Le lastre dipinte della Tomba del Tuffatore sono custodite nelle sale museali e sono l’unico esempio di pittura di età greca della Magna Grecia.
Così le rovine di Paestum apparivano agli occhi di Goethe, che le descrisse come “il fascino di un mondo tramontato”. La prima cosa che si incontra superata la biglietteria è il Tempio di Nettuno e, di fianco, quello di Hera, entrambi nella parte meridionale del sito archeologico.
Il Tempio di Hera è il più antico, risale al 550 a.C. ed è chiamato anche Basilica perché in un primo momento gli archeologi lo scambiarono per un edificio pubblico romano, sede del tribunale e delle assemblee cittadine. Appare come una magia bianca di nove colonne sui fronti e diciotto sui lati, che si alternano in un ordine perfetto, divino.
In mezzo fra i due, uno spiazzo dove ora sorge un enorme cavallo di sabbia e, al di là, il Tempio di Nettuno, costruito circa un secolo dopo quello di Hera. È il tempio più grande del sito e uno tra i meglio conservati dell’intera epoca greca, con una cella (l’area interna) divisa in tre navate da due ordini di sette colonne doriche, e due altari. Furono alcuni studiosi del ‘700 ad attribuirlo al dio del mare ma studi più recenti ritengono fosse dedicato ad Apollo o a Zeus. Di una cosa, però, possiamo essere certi: l’emozione di trovarsi immersi in tanta grandezza rapisce, conquista e fa venire voglia di cercare con lo sguardo i giochi della luce che si insinua fra le colonne.
Con alla nostra sinistra i resti dei quartieri abitativi, ci spostiamo verso nord, camminando fra i ruderi di vari edifici pubblici e privati. Incontriamo quelli che furono le terme, il foro, il comituim, l’aerarium, la piscina, il Tempio della Pace, l’anfiteatro, l’heeron (monumento funebre in onore del fondatore della città), l’ekklesiasterion (l’edificio in cui si riuniva l’assemblea dei cittadini).
Come ultima tappa, prima di tornare alla realtà del mondo presente, arriviamo al Tempio di Cerere (o Atena). Questo fu costruito 50 anni dopo quello di Hera e 50 prima di quello di Nettuno; è il più piccolo fra i tre e si trova all’estremità settentrionale del sito archeologico. Mentre i pensieri prendono il volo, lo sguardo si rivolge verso l’alto. E si ferma proprio sulla particolarità che rende unico questo edificio: il frontone e il fregio dorico composto da larghi blocchi di calcare.
I raggi del sole al tramonto ormai si fanno sempre più obliqui, colorando di rosso le rovine dei templi e proiettando ombre sulla terra. Un altro giorno è passato fra le migliaia di migliaia che questa antica città ha visto nascere e morire. La visita all’antica Poseidonia finisce qui, consapevoli che molta della sua bellezza non è stata ad oggi scoperta: una gran parte di questo mondo sommerso è ancora tale e, di tanto in tanto, restituisce alla luce alcune delle sue meraviglie…
L’antica città della Magna Grecia sorge nella piana del Sele e affaccia sul golfo di Salerno, nella zona nord del Parco Nazionale del Cilento. Fa parte del comune di Capaccio Paestum e si trova a circa 90 chilometri da Napoli e a 30 da Salerno. Per raggiungerla ci sono vari modi.
Se stai percorrendo l’autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria e vieni da nord, esci a Battipaglia e imbocca la SS18; se invece arrivi da sud dovrai uscire a Eboli e imboccare sempre la SS18. Poi devia per Capaccio Scalo e segui le indicazioni.
Per gli amanti dei viaggi su rotaia ci sono treni locali piuttosto frequenti sia da Salerno che da Napoli. Basterà scendere alla stazione di Paestum e percorrere via Porta Sirena: in circa 10 minuti a piedi ti troverai alla biglietteria del Parco.
In alternativa ci sono autobus in partenza sia da Salerno che da Napoli che ti porteranno, in un’oretta o poco più, di fronte al sito archeologico.
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